martedì 17 settembre 2024

 

“Assolo dell’ortensia” di Annamaria Curci

Macabor 2024

Nota di Renato Fiorito

 


“Una terrazza metafisica”, dice Silvano Trevisani nella sua prefazione a “Assolo dell’ortensia”, l’ultima raccolta poetica di Anna Maria Curci (Macabor 2024), terrazza che mi riporta a un’altra, concreta e viva nella mia memoria, affacciata su un giardino d’ortensie azzurre che esplodevano ogni inizio estate nel cortile per festeggiare la nuova stagione. Il portiere ne tagliava a volte qualcuna e la donava a mia madre. Anche Anna Maria mi porta oggi questo dono floreale che per strade misteriose mi riconduce agli antichi sapori di una giovinezza custodita nel cuore, grazie a poesie che, partendo da quella ispirazione, suggeriscono un viaggio misterico nel travaglio della vita, nella sua bellezza e nel suo dolore, attraverso un verseggiare suggestivo e immaginifico intorno al segreto insondabile del vivere.

Lieve e intensa, discreta e sussurrata, come sempre è la poesia di Annamaria, la raccolta ha l’armonia dei classici, l’icasticità degli ermetici, la levità del tanka e dell’haiku. In essa, il più voluttuoso dei fiori fa da lussureggiante controcanto a versi sobri, essenziali e inattesi, perfettamente ordinati dalla sua sapienza letteraria.

Dietro la ricchezza delle metafore raramente si rinvengono fatti concreti, essendo l’attenzione della poetessa interamente concentrata sul valore delle emozioni, sui trasalimenti dell’anima di fronte alla fatica e alla bellezza della vita. Metafore e allusioni sono brevi, fulminanti, a volte spiazzanti, per lasciare al lettore, nel vuoto aperto tra i versi, lo spazio per agganciarvi suoi ricordi e riflessioni.

Su questo terrazzo incantato, inondato dal canto azzurro delle ortensie, peraltro mai nominate se non nel titolo della prima poesia, planano speranze e delusioni mentre volano radenti i sogni della vita. Ogni descrizione trova così giustificazione e rispondenza in un moto dell’anima, attraverso indovinate analogie in cui esterno e interno continuamente si confondono, per dire che la vita è parte armonica di un tutto dove, come in Eraclito, ogni cosa scorre.

Come avviene per le ortensie, resta infine sotteso, ma sempre taciuto, un messaggio subliminale, una domanda di cambiamento nascosta tra le righe, senza la quale ogni poesia, anche la più bella, diventa sterile, e l’aspirazione a un viaggio che possa mutare la percezione delle cose, dando finalmente senso alla disarmonia che accompagna nostro malgrado i nostri giorni.

 

Aspetta a lungo

l’occhio che la sorga

la scarpa scompagnata

 

Non sa ancora

Che un tocco distratto

Sfiorerà il laccio

 

o un sibilo improvviso

pungerà chi

Di lei si mette in cerca

 

Attende sola

senza braccia e antenne

Di tornare da ingombri a traccia-ombra.

(pag.23)

 

E in altra poesia:

“… a te che sei altrove e forse guardi

 narro di morti taciute e occultate

dell’ondata sommersa degli infermi

di prigionia spacciata come bene.”

(pag.32)

 

E infine:

Giacché l’amore è piaga ed è sutura,

rimbocca i lembi che pure separa.

Dietro le spalle sussurra tenace

Le piccole virtù lungo il sentiero.

(pag.33)

 

Dunque un giardino, ricco di luci, colori, nostalgie e speranze, questo di Annamaria Curci, piccolo e immenso, rapido da visitare ma che poi pretende ritorni e riletture per poterne estrarre gli effluvi migliori.



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