INTERVISTE




Ringrazio Grazia Calanna per questa intervista apparsa su "L'estroverso"

Renato Fiorito, “la poesia è come l’acqua, prende la forma dell’anima che la contiene”.





«Sul limitare del cielo,/ io, scintilla di un attimo,/ canto l’infinito./ Guardo l’eterno/ e prima di essere cenere/ misuro da questo/ la mia grandezza/ e la mia miseria./ Infinite galassie,/ origine e fine della creazione,/ dimorano nella mente./ Intuisco mondi paralleli/ di cui non so nulla./ Vedo la fatica dei padri,/ le lotte e le sconfitte,/ e so che tutto è avvenuto/ perché io esistessi./ Assumo come mio/ quello che altri hanno conquistato,/ le strade tracciate percorro/ per comprendere l’incomprensibile/ e so che nessun credo contraddice gli altri/ ma tutti procedono/ sull’irta strada della verità.». Versi di Renato Fiorito (nella ph di Eduardo Fiorito), schiudono “Andromeda”, poemetto cosmogonico che si volge con grazia all’interpretazione dell’origine dell’universo contemplando l’esistenza e ripercorrendone, dell’uomo, evoluzioni e involuzioni, «La saggezza sta nel percorrere/ la strada che riporta all’unità/ in cui ogni singolarità si dissolve/ senza averne paura». Il lettore, come scrive nell’introduzione l’editore Giuliano Ladolfi, «viene pervaso da un senso di stupore per un’impresa raramente tentata nella storia della poesia: ripercorrere il cammino della vita dal Big Bang a oggi. Si tratta di un’impresa non certo nuova, ma in ogni caso assai rara: Esiodo, Lucrezio, Dante in ottica particolare, cui si possono aggiungere i versi leopardiani del “Canto notturno del pastore errante dell’Asia” e della “Ginestra” per respiro cosmico, e, per arrivare più vicino a noi, la straordinaria poesia di Pier Luigi Bacchini». E leggendo, per la vita che «come rami di un albero/ in ogni direzione si espande», cogliamo un invito riconducibile alle parole di Dostoevskij, «ci vuole compassione, capacità cioè di estrarre dall’altro la radice prima del suo dolore e di farla propria senza esitazione». Pagine prospere, costellate da riflessioni e rimandi, «Non inganni la morte./ Appartiene anch’essa alla vita/ come vi appartiene la nascita e l’amore/ ed è dunque ugualmente sacra.», «Un granello di cenere non dice/ dello splendore che l’accese un giorno/ ma la sostanza di cui è fatto è luce/ come di un uomo lo è il suo pensiero.», «La speranza è il nostro vicino,/ l’inferno è disconoscere questa condivisione./ La sola colpa è uccidere.», «Il cielo non era più così lontano/ se ogni uomo poteva alzare lo sguardo/ e sognare allo stesso modo.», «Non ha vissuto solo chi non ha mai amato.».
Qual è il ricordo (o un aneddoto) legato alla tua prima poesia?
Mi è capitato di leggere giorni fa “Stelle di marzo”, una poesia di Ingeborg Bachmann che inizia così: “Ancora la semina è lontana. Si vedono terreni inzuppati di pioggia e stelle di marzo.” e, a causa di quella stella riflessa nei terreni inzuppati di pioggia, mi è venuta in mente la mia prima poesia. Avevo, credo 8 anni e, a Napoli, al piano di sotto, abitava un poeta dialettale con la moglie, ex soubrette. Andavo a trovarli spesso perché loro amavano improvvisare spettacolini la sera per gli amici, e a me piacevano molto. Un giorno scrissi una poesiola, la prima della mia vita, e la mostrai al poeta con la speranza che l’avrebbe letta la sera durante la rappresentazione. Diceva: “E’ mattino molto presto,/ io cammino pel boschetto/ e qua e là tra l’erba verde/ vedo tante belle stelle./ Come spledon le stelline,/ esse sono assai carine,/ ma man man che il sole sale/ tutte quante esse scompaion./ Io vorrei prenderne una/ ma appena l’ho toccata/ la mia man riman bagnata/ da una goccia di rugiada.”. Il mio amico iniziò a leggerla ad alta voce, ma appena giunse al punto in cui dicevo di vedere tante stelle tra l’erba verde si interruppe e mi disse ridendo: “Ma le stelle stanno in cielo, mica in terra!”. E questa fu la mia prima, grande delusione di poeta.
Quali i poeti (e, più in generale, gli autori) significativi per la tua formazione?
Alle scuole superiori fui scelto per partecipare ad un premio interscolastico consistente nel redigere un tema sulla figura di Dante Alighieri. Poiché risultai tra i vincitori ricevetti in premio la somma, a quei tempi stratosferica, di 300 mila lire e un’edizione preziosa della Divina Commedia, illustrata da Gustavo Doré, che ancora gelosamente conservo. Così mi appassionai alla lettura di Dante, utilizzando la guida critica di Natalino Sapegno e, del tutto indegnamente, adottai il sommo poeta come mio primo maestro. Poi vennero Leopardi, a confortare i miei fallimenti amorosi, e Ungaretti, a rivelarmi una maniera diversa di scrivere, asciutta, aspra, suggestiva e intensa. Notando la mia passione per la poesia anche i miei familiari cominciarono a regalarmi libri di poesie e cosi scoprii Jacques Prévert, Pablo Neruda, Salvatore Quasimodo e i futuristi. Oggi ne amo molti, mi sovvengono in particolare Nazim Hickmet, Mark Strand, Charles Bukovsky e, tra gli italiani contemporanei: Dante Maffia, Bianca Maria Frabotta, Maria Grazia Calandrone, Mariangela Gualtieri, solo per dirne alcuni.
Quale (e per quali ragioni) poeta e i relativi versi non dovremmo mai dimenticare?
Ognuno conserva nella memoria le “sue” poesie, non perché siano le più belle in assoluto ma perché i loro versi sono intrecciati alla nostra vita e fanno ormai tutt’uno con ciò che siamo. Io, per esempio, non dimentico “Barbara”, la ragazza che Prévert descrive mentre sotto la pioggia a Brest corre verso il suo uomo e lo bacia felice, prima che la guerra distrugga la vita di tanti. Io quella figura di donna, grondante acqua e raggiante, in contrapposizione alla barbarie, la sento viva più di ogni immagine reale. “Che coglionata la guerra” scrive Prévert. Ecco: questo per me è un verso che non si dovrebbe dimenticare.
“Ricordati Barbara/ Pioveva senza sosta quel giorno su Brest/ E tu camminavi sorridente/ serena, rapita grondante/ sotto la pioggia/ Ricordati Barbara/ come pioveva su Brest/ E io ti ho incontrata a rue de Siam/ Tu sorridevi,/ ed anch’io sorridevo/ Ricordati Barbara/ Tu che io non conoscevo/ Tu che non mi conoscevi/ Ricordati,/ ricordati quel giorno ad ogni costo/ Non lo dimenticare/ Un uomo s’era rifugiato sotto un portico/ E ha gridato il tuo nome/ Barbara/ E sei corsa verso di lui sotto la pioggia/ Grondante rapita rasserenata/ E ti sei gettata tra le sue braccia/ Ricordati questo Barbara/ E non mi rimproverare di darti del tu/ Io dico tu a tutti quelli che amo/ Anche se una sola volta li ho veduti/ Io dico tu a tutti quelli che si amano/ Anche se non li conosco/ Ricordati Barbara/ non dimenticare/ Questa pioggia buona e felice/ Sul tuo viso felice/ Su questa città felice/ Questa pioggia sul mare/ sull’arsenale/ Sul battello d’ Ouessant/ Oh Barbara/ che coglionata la guerra/ Che ne è di te ora/ Sotto questa pioggia di ferro/ Di fuoco d’acciaio di sangue/ E l’uomo che ti stringeva fra le braccia/ Amorosamente/ È morto disperso o è ancora vivo/ Oh Barbara/ Piove senza sosta su Brest/ Come pioveva allora/ Ma non è più la stessa cosa e tutto è crollato/ È una pioggia di lutti terribili e desolata/ Non c’è nemmeno più la tempesta/ Di ferro d’acciaio e di sangue/ Soltanto di nuvole/ Che crepano come cani/ Come i cani che spariscono/ Sul filo dell’acqua a Brest/ E vanno ad imputridire lontano/ Lontano molto lontano da Brest/ Dove non vi è più nulla.”
(traduzione di Gian Domenico Giagni – Poesie di Jacques Prévert – Collana Fenice diretta da Giacinto Spagnoletti – Edizione Guanda del 1960)
Qual è – nell’arco della sua giornata – il momento ideale per dedicarsi alla poesia?
In verità io, se non c’è mia moglie a tirarmi via dalla scrivania, mi occupo disordinatamente di poesia tutto il giorno, ma non ho un tempo preordinato per comporre. L’ora migliore è quella dell’emozione, della nostalgia, della felicità, del verso improvviso che attraversa la mente, arriva improvviso e va via in fretta se ci coglie sprovvisti di carta e penna.
Qual è la tua ‘attuale’ spiegazione/definizione di poesia?
Un amico poeta si mise a raccogliere tutte le definizioni di poesia che trovava. Ne catalogò quasi mille, mi disse, ma nessuna lo convinse. Anche io non voglio definire la poesia, perché ogni definizione ha come corollario la necessità di accettare le poesie che rientrano nei canoni stabiliti e escludere le altre, mentre io credo che la poesia sia anche libertà espressiva e che i modi di fare poesia possano essere tanti e ognuno abbia diritto di cittadinanza. La poesia è come l’acqua, prende la forma dell’anima che la contiene. Perciò non mi piace imbrigliarla e dire: questa è poesia e questa no; né mi lamento, come fanno molti, dell’eccesso di pubblicazioni, anche se di insufficiente valore, poiché le percepisco comunque come un segno di interesse e di potenziale futura ricchezza. Penso in proposito che nessun tempo è stato più fortunato del nostro per il numero di persone che studiano e per gli strumenti di comunicazione di cui disponiamo, eppure si avverte come un’aridità dei sentimenti, una incapacità di entrare in empatia con il bello che ci circonda. Per questo andrebbero incoraggiati tutti i processi di sensibilizzazione all’arte poetica come a tutte le arti, ancorché imperfetti. In un tempo in cui la poesia è quasi completamente dimenticata dalla scuola, dalla televisione, dai giornali, e in cui nessuno può seriamente pensare di vivere scrivendo poesie, credo sia un vero miracolo che alcuni continuino a scrivere versi, si cerchino, si interroghino, non avendo altro obiettivo che la compiuta espressione della propria spiritualità. Ammiro questa generosità un poco folle di offrire molto senza chiedere nulla, perché grazie ad essa molti miglioreranno la qualità della loro vita, alcuni scriveranno buone poesie, i più dotati inizieranno un percorso di studio e conoscenza che li porterà a essere poeti a tutto tondo. Io trovo questo esaltante. Perciò dico: smettiamo di lamentarci. Chi è meno bravo non danneggia in alcun modo chi è più capace. Proviamo invece a farla vivere la poesia, senza costringerla in circoli ristretti, e proviamo a farlo con amore, volendo bene a quelli che cercano una loro espressività, aiutandoli a migliorarsi con la critica e l’incoraggiamento, senza steccati e senza supponenza.
Quando una poesia può dirsi compiuta?
Una poesia la considero terminata quando rende con assoluta precisione il sentimento che voglio esprimere, e lo fa in maniera armonica e suggestiva; ma soprattutto quando, rileggendola, mi accorgo di non potere più togliere o aggiungere nulla senza peggiorarla. Ecco: rileggere dopo qualche tempo è importante perché quando si è in fase creativa si cade in una specie di euforia compositiva che toglie lucidità e fa apparire perfetto ciò che perfetto ancora non è.
La poesia può (e se può in che modo) restituire purezza alla parola?
Il poeta, classicamente inteso, dovrebbe coltivare l’eleganza, l’essenzialità e la profondità del verso, facendolo diventare oasi, rifugio, conforto dal dolore, ansia di libertà. Tuttavia non credo che compito della poesia sia quello di preservare la purezza linguistica e imporre modelli espressivi da cui non derogare. A volte infatti è efficace proprio la contaminazione, il rubare dai dialetti o da lingue straniere espressioni che arricchiscono il lessico e lo rendono più vivo e vicino alla quotidianità, creando forza evocativa, sonorità e armonie nuove.
Oggigiorno, qual è (ammesso ne abbia uno) l’incarico della poesia?
Come accennavo prima io non credo che alla poesia possano essere assegnate funzioni specifiche di carattere sociale o di qualsiasi altro tipo, tuttavia sarebbe auspicabile che, in questo contesto di cambiamenti epocali spesso tragici, la poesia riuscisse a tenere viva la forza della ragione e dei sentimenti, richiamando al senso di umanità e comprensione che tante volte sembra smarrito e che potrebbe evitare ulteriori tragedie. Questo ruolo non si decide a tavolino. Se nasce, quando nasce, viene fuori da solo, come reazione alla disperazione, all’inadeguatezza della politica, alla drammaticità dei conflitti. A tal fine sarebbe necessaria la scelta di un linguaggio intelligibile che, dopo anni di oscurantismo, di egotismo e di riflusso in modalità comunicative iniziatiche, recuperasse la funzione epifanica della poesia.
Riporteresti una poesia o uno stralcio di testo (di altri autori) nel quale all’occorrenza ami rifugiarti?
Mi viene in mente questa poesia di Hikmet che ben rispecchia il senso del viaggio che mi sembra di avere fatto in questi anni e della speranza di andare oltre che ancora morde il cuore:
“Non è un cuore perdio, è un sandalo di pelle di bufalo
che cammina, incessantemente, cammina
senza lacerarsi
va avanti
su sentieri pietrosi.
Una barca passa davanti a Varna
«Ohilà, figli d’argento del Mar nero!»
una barca scivola verso il Bosforo.
Nazim dolcemente carezza la barca
e si brucia le mani.”

Ringrazio la giornalista Daniela Cecchini per questa lunga ma spero interessante intervista sul Corriere del Sud


La bella poesia di Renato Fiorito

Renato Fiorito, raffinato poeta, è il fondatore del blog letterario “La Bella Poesia”, nato circa tre anni fa. All’interno del blog si svolgono tutte le attività afferenti alla divulgazione della poesia e alla sedimentazione del messaggio poetico in ogni direzione possibile, anche attraverso iniziative di carattere sociale, spesso a sostegno della solidarietà.
Nell’ambito delle attività, periodicamente vengono organizzati reading di poesia; fra essi, ha ottenuto un certo successo il reading di Castel Sant’Angelo a Roma, un’iniziativa culturale della scorsa estate di Expo Fringe Festival.
Nel 2014 il poeta ha pubblicato la raccolta di poesie “Legàmi”, alla quale è particolarmente legato, poiché fa riferimento ai rapporti umani che si istaurano nel corso della vita, che non sempre sono destinati a crescere e durare nel tempo.
Quindi, attraverso l’afflato poetico, Renato Fiorito ha affrontato, fra gli altri, anche il delicato tema del disinganno.
Inoltre, egli ha scritto due romanzi, pubblicati in modalità autogestita, dai quali ha raccolto ampi consensi.
Nella prossima primavera sarà pubblicato un interessante poema sulla questione israelo-palestinese dal titolo “La Terra contesa”.
Recentemente ho incontrato Renato Fiorito in occasione di un evento letterario ed ho avuto il piacere di parlare con lui di poesia, filosofia, cultura ed anche del “Premio Internazionale di Poesia Don Luigi Di Liegro”, del quale è il fondatore. Il Premio, giunto alla sua VII Edizione, anche quest’anno mantiene le caratteristiche che lo hanno fatto apprezzare negli scorsi anni: una prestigiosa giuria composta da ben undici persone, scelte tra professori universitari, critici letterari e poeti affermati e presieduto dal noto critico, poeta e saggista Manuel Cohen; la cura riservata all’informazione e la trasparenza delle procedure; una costante presenza sul web, al fine di promuovere lo studio e il confronto letterario.
La scadenza del bando di partecipazione al Premio letterario è fissata al 31 dicembre 2015.
Il dono innato di un artista è saper intuire e riconoscere l’essenza dell’universo, per consentire ai suoi simili di contemplare ogni cosa attraverso i suoi occhi e il suo spirito. In altre parole, l’arte indipendente da ogni relazione fenomenica, si esprime sempre con la pura contemplazione?
Da sempre gli uomini guardano al mistero dell’universo, dell’infinito, dell’eterno, cercando di capirne il significato e il fine. E’ una problematica aperta, mai risolta, impossibile da comprendere in ogni suo aspetto. Lo fanno gli scienziati, i filosofi, i matematici, ognuno per la sua parte; ma lo smarrimento dell’uomo di fronte all’immensità del cielo e all’eterno, resta intatto. Anche il poeta non fornisce risposte, nessuno può farlo, ma lui almeno può chinarsi ad ascoltare i fruscii dell’anima e tentare di dipanare il senso recondito delle cose, dando sollievo all’angoscia umana al cospetto della sua finitezza. Egli può offrire una sponda alla paura, dare un nome al disorientamento, un senso alla sconfitta. E’ per questa responsabilità che il poeta non dovrebbe mai chiamarsi fuori dalla realtà, ripiegarsi su sè stesso, diventare autoreferenziale e oscuro.
Il filosofo tedesco Schopenhauer afferma che l’origine dell’arte risiede nella conoscenza delle idee e il suo fine sta nella comunicazione di questa conoscenza. Secondo lei, la poesia è sempre un efficace strumento di comunicazione?
Questa domanda mi consente di approfondire il discorso sull’oscurità del linguaggio a cui accennavo. Si è diffusa negli ultimi decenni la convinzione che, poiché tutto è stato già detto e nulla di nuovo si può scrivere, per essere originali bisogna inventarsi una nuova sintassi, ricercare nuove forme espressive, altri suoni, inventare parole, non importa se incomprensibili. Questo spinge alcuni poeti a costruire versi praticamente privi di senso, che lasciano interamente sulle spalle del lettore la fatica di un’interpretazione a dir poco problematica. Ma il compito di un poeta, sicuramente più elevato che emettere suoni, dovrebbe essere quello di aiutare la gente a capire il proprio tempo, a curare le malattie dell’anima, a condividere i sentimenti. Il vate è colui che sa guardare più avanti e indicare la strada, non quello che parla a se stesso, in un delirio di autosufficienza. Se il linguaggio poetico (come qualsiasi altro linguaggio) è oscuro, viene meno alla sua stessa funzione, si marginalizza e diventa inutile, perché nella stessa misura in cui il poeta si allontana dalla gente, la gente si allontana dalla poesia ed essa si trasforma in una noiosa pratica iniziatica, dove deborda un”io” ipertrofico, innamorato di se stesso. Dice Azar Nafisi ne “La repubblica dell’immaginazione”, che “la letteratura celebra sempre la differenza, ma il culto della letteratura può diventare pericoloso quando non è accompagnato dallo shock dell’identificazione e dalla percezione di quanto siamo tutti uguali malgrado le differenze.”
L’arte in quanto contemplazione, sfugge al principio di razionalità proprio della scienza, trovando infinite espressioni nelle sue diverse accezioni. Il poeta è l’uomo universale, che rispecchia l’umanità?
No, non direi che sul poeta ricada in modo univoco questa responsabilità. La razionalità della scienza è parte del nostro esistere e della nostra cultura. Essa è certo più universale della soggettività poetica, perché se un’equazione è vera, essa rimane tale per ogni uomo e in ogni tempo. Il poeta si muove su un terreno più intimo e insidioso, fatto di luci ma soprattutto di ombre. Le cose che lascia intravedere, le relazioni tra lui e il mondo, tra le sue storie e la storia universale sono personali, opinabili, parziali, valgono per alcuni e non per altri. Tuttavia, possono sollecitare pensieri, farci rivedere opinioni e comprendere più compiutamente qualche frammento della realtà nella quale siamo immersi.
La capacità estetica in poesia sta nel riconoscere le idee fra le cose che ci circondano. Quali sono, secondo lei, le difficoltà da superare per innalzarsi al di sopra di noi stessi, andando oltre la singola individualità?
Questo è il vero mistero e il fascino dell’arte, di ogni arte, ma soprattutto dell’arte poetica. Non ci sono regole per raggiungere l’universalità, se non quella di mettersi in ascolto della nostra individualità, abbandonando gli stereotipi letterari e l’esibizione sterile di una cultura fine a sè stessa. Mettersi a nudo, questa è la sfida, poichè se troviamo la nostra verità è possibile che da lì si innesti un pensiero generalmente condiviso, dato che i sentimenti umani si somigliano al di là delle contingenze e la nobiltà del cuore non dipende dal reddito, dagli studi, dalle posizioni di potere. È anzi vero il contrario: è vero cioè che sono proprio coloro che la società scarta, i folli, gli isolati, i derelitti, quelli che sanno di più dei misteri del cuore e li sanno mostrare. Fare poesia è in fondo un mestiere a perdere: occorre dare tutto senza ricevere nulla. Chi vuole intraprendere la strada della poesia deve saperlo e non avere paura di scendere sul fondo a guardare in faccia le malattia dell’anima perché è proprio lì che si trova il terreno su cui l’umanità pianta le sue radici ed è lì che la poesia prende il volo, al di là della ristrettezze della singola individualità.
La poesia e la prosa sono costituite da concetti astratti, che necessitano di essere coordinati, affinché possano fra di loro intersecarsi. Quanto conta la conoscenza della tecnica in tutto questo?
Quella che lei chiama tecnica, non è un complesso di regole e procedimenti definiti una volta per tutte, ma piuttosto la conoscenza dell’alveo letterario nel quale ci si muove. E’ dunque studio, ma anche sensibilità, sincerità di ispirazione, conoscenza del contenuto e delle modalità per esprimerlo. Non si può essere efficaci e coinvolgenti se non si conosce il contesto del momento letterario nel quale si scrive. Sarebbe come immettersi nel traffico cittadino senza conoscere strade e segnali. E tuttavia conoscere le strade e i segnali non basta, se poi non si sa dove andare. La strada che percorre lo scrittore è in salita. Non c’è una vetta, ma solo la fatica di andare più su per allargare l’orizzonte. Non è dunque poeta chi si accontenta di dire quello che già vedono tutti ma quello che sa insegnarci a guardare più lontano.
Circa tre anni fa lei ha fondato “La Bella Poesia” un blog letterario che dirige con interesse e cura e che si propone la divulgazione della cultura nelle sue varie forme e l’interesse per la poesia. Quali sono i limiti dell’attuale mercato editoriale dai quali lei si sente totalmente avulso?
L’attuale situazione dell’editoria soffre di un sorprendente paradosso: da una parte cresce il numero di persone che pubblicano libri di poesie, dall’altra questo settore viene sempre più marginalizzato dal mercato. Eppure la perdita di appeal economico potrebbe favorire le radicali trasformazioni già in atto, in particolare un confronto culturale più libero, fraterno, aperto, che superi le scorie di una concezione competitiva dell’arte poetica .Infatti, l’esplodere della comunicazione via web consente già da tempo la gratuita circolazione delle opere. Questa grande opportunità di democratizzazione della cultura destabilizza i centri di potere e le rendite parassitarie e viene dunque avversata e sminuita, con l’argomentazione principale che essa genera confusione e assenza di selezione. Pertanto, non è raro il caso in cui accademici e critici letterari, invece di compiacersi dinanzi all’accresciuto desiderio di fare poesia, se ne rammarichino sdegnati. In realtà, non è la buona poesia che manca, è solo più faticoso trovarla.
In linea con questa convinzione, ho creato “La Bella Poesia”, volendo rendere disponibile una vetrina che, senza guardare all’importanza del nome, mirasse solo alla qualità dello scritto con rispetto, ma senza compiacenze. Liberi da motivazioni economiche, lo facciamo gratuitamente e fraternamente, per semplice amore della poesia. Qualcuno abituato ai consensi di maniera a volte si adombra, ma sono convinto che una critica rispettosa, sia più utile di tanti elogi. Purtroppo, il moltiplicarsi delle richieste e degli impegni non mi consente di fare tutto quello che vorrei. Un lavoro così avrebbe bisogno di volontari competenti che volessero partecipare a questa bellissima attività di scouting.
Ma non facciamo solo questo. La Bella Poesia, ad ogni occasione favorevole si cala nella vita e va nelle strade. Un paio di anni fa, per esempio, abbiamo portato la nostra solidarietà ai lavoratori della Città della Scienza, bruciata dalla camorra a Napoli. Siamo andati lì con una grande gabbia, ma dentro non c’erano uccellini, ma centinaia di poesie scritte dai nostri poeti che liberammo nel parco della Città, leggendoli, attaccandoli ai muri e distribuendoli agli spettatori di uno spettacolo serale dedicato agli studenti. Abbiamo organizzato feste per la poesia con centinaia di poeti giunti da tutta Italia, abbiamo realizzato incontri di piazza, tra cui uno il 25 aprile scorso nel cuore del ghetto di Roma per celebrare la festa della liberazione. Inoltre, siamo stati per tutto il mese di giugno a leggere poesie a Castel Sant’Angelo nell’ambito dell’Expo Fringe Festival. Saremo poi nell’intero mese di aprile al “Baronato qb”, vicino Castel Sant’Angelo, a leggere poesie. Uno schermo sulla strada permetterà ai passanti di fermarsi e ascoltare buona poesia. Insomma, ci siamo e cerchiamo di fare bene, sempre aperti alla gente e al talento.
Nel suo blog sono spesso presenti poeti non ancora conosciuti nel panorama letterario. Ha avuto qualche riscontro favorevole dalle sue segnalazioni?
Le racconto una cosa: tra i poeti del blog ve ne sono molti che sono orgoglioso di avere aiutato., Non faccio nomi per non trascurare gli altri, ma le racconto dei casi: una signora che lavorava in un ufficio tecnico cercava di non far sapere che scriveva poesie nel timore di perdere credibilità sul lavoro. Ora è una scrittrice che ha pubblicato due raccolte e vinti molti premi anche all’estero. Un’altra viveva in un piccolo paesino e teneva nascoste le sue poesie, perché suo marito le considerava uno sfogo personale che non voleva rendesse noto. Erano poesie di grande delicatezza che forse sarebbero andate perdute e che invece vinsero un premio e ora sono note e generalmente apprezzate. Un ragazzo faceva il DJ, mi mandò un libro di poesie che mi fece pensare a Pavese. Disse che nessuno gli aveva mai prestato attenzione. Anche lui sta percorrendo con eccellenti risultati la sua strada. I casi sono molti, del resto basta visitare il sito www.labellapoesia.info per rendersi conto di quanti si sono poi affermati nel panorama poetico italiano. Io, con discrezione li seguo sempre con grande affetto anche se ormai sono convinto che non hanno più bisogno del mio aiuto.
Oltre ad occuparsi della poesia altrui, trova il tempo di scrivere anche opere proprie? In caso affermativo, cosa ha scritto ultimamente?
L’anno scorso Lepisma ha pubblicato una mia raccolta di poesie dal titolo “Legàmi” a cui tengo molto. Sono poesie che descrivono i rapporti di affetto e solidarietà creati nel corso del tempo, il loro sviluppo, il loro incrinarsi, la loro fine. Ho scritto poi due romanzi. Uno che amo particolarmente, si chiama “Ombre” ed ha per protagonisti i clochard della Stazione Termini. L’ho pubblicato in self publishing, ottenendo gratificanti riconoscimenti ma non ho trovato ancora un editore disposto a scommetterci seriamente; così me lo tengo come si fa con i figli a cui si vuole più bene. Ad aprile invece uscirà per l’editore “Puntoacapo” un poema sul conflitto israelo-palestinese dal titolo “La terra contesa”. Si tratta di un interessante esperimento letterario che prende le mosse dal film-documentario “Route 181”. e che vuole essere un libro per capire meglio quella realtà. Sempre a marzo/aprile dovrebbe uscire anche una nuova edizione riveduta e corretta del mio romanzo “Tradimenti”. Esso ha la struttura classica del giallo, ma non è un giallo vero e proprio, piuttosto un libro sul valore della vita e sulle prove a cui questa è sottoposta.
Nell’ambito della sua attività culturale, lei organizza eventi e manifestazioni pubbliche di un certo spessore; fra essi il “Premio Internazionale di Poesia Don Luigi Di Liegro”, giunto quest’anno alla sua VIII Edizione. Questo premio letterario è organizzato in collaborazione con la Fondazione Don Luigi Di Liegro, che si propone di mantenere vivi la memoria e il pensiero di Don Luigi, attraverso attività sociali e culturali volte alla tutela ed al rispetto della dignità umana e al valore della solidarietà. Vorrebbe parlare ai nostri lettori di queste attività socio-culturali?
La Fondazione Di Liegro assiste, nei limiti delle sue disponibilità, persone che vivono situazioni di marginalizzazione. In particolare sostiene le persone affette da disagio psichico e le loro famiglie, chiamando a parteciparvi soggetti volontari, che organizza per supportare i servizi pubblici di assistenza. Svolge inoltre con il progetto “Labirintus” attività di contrasto ai fenomeni di esclusione sociale, sviluppando attività di sostegno in favore di persone over 40 escluse dai processi lavorativi.
La Fondazione promuove la solidarietà in favore dell’immigrazione e il sostegno alla crescita delle giovani generazioni, inoltre è attiva nel campo della valorizzazione dell'arte letteraria, quale strumento di emancipazione dello spirito e affinamento della percezione della realtà.
La Fondazione è membro effettivo del “Comitato Italiano per la promozione e protezione dei diritti umani”, una rete di organizzazioni non governative italiane, fondata nel 2002, per la creazione di una istituzione nazionale indipendente per i diritti umani.
Vorrei tornare al Premio letterario “Don Luigi Di Liegro” la cui scadenza per la presentazione delle opere è prevista per il prossimo 31 dicembre. Cosa desidera aggiungere in merito a questo significativo evento di cultura e solidarietà?
Il Premio è un mio orgoglio. Nelle mie intenzioni è per prima cosa una festa nella quale vogliamo conoscerci e darci una mano. E’ poi un premio “democratico”, nel senso che tutto quello che si fa, è noto e trasparente; sulle pagine web dedicate al premio tutti sono puntualmente informati, possono intervenire, svolgere considerazioni e criticare. I testi finalisti sono pubblicati sul sito de La Bella Poesia e, in cartaceo, su un’antologia liberamente acquistabile sul sito on-line di Feltrinelli, affichè ognuno possa leggere i testi, valutarli e fare confronti. Una giuria di 11 giurati, scelti tra professori universitari, critici letterari e poeti, assicura competenza e obiettività di giudizio. Ringrazio per questo pubblicamente tutti i giurati che prestano gratuitamente la loro opera e in particolare Manuel Cohen, critico e letterato esimio, che guida la giuria nel difficile lavoro di selezione delle opere.
Infine, posso dire che questo è un premio diverso da tutti gli altri perché non si chiude con la cerimonia di premiazione, pur ricca e bella, ma continua tutto l’anno sul web con passione, ammirazione per chi ha vinto, e grande considerazione per tutti gli altri, convinti come siamo che essi potrebbero essere i vincitori di domani. Chi volesse parteciparvi può consultare Bando e Regolamento sui siti: www.labellapoesia.info e premiopoesiadiliegro@libero.com

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