
Due storie dunque che, come in una partitura, procedono
ognuna con la propria tonalità ma con lo stesso ritmo e con precise corrispondenze
nei crescenti, nelle pause, nei momenti di riscatto, quasi a suggerirci che, nonostante
le mutate apparenze, il mondo non è cambiato, che ieri come oggi valgono le
regole ferree dell’egoismo personale, dell’ipocrisia, del perbenismo formale e
che non c’è riguardo per le sofferenze che esse procurano.
Emma è una fanciulla bellissima, dai lunghi capelli biondi.
Sarebbe stata forse una donna felice, una madre tranquilla, se la tragedia
della violenza familiare non l’avesse sconvolta, se un padre cattivo e instabile non avesse trasformato la sua vita in un inferno di grida, minacce,
botte. Perché lo fa? Cos’è che lo rende così crudele? Il libro non lo spiega, né
può farlo, perché il male cova dentro di noi, come un’ombra, eterno e inspiegabile, e poi si proietta sugli altri e li trasforma. Così le delusioni,
i tradimenti della vita diventano arma, coazione a ripetere: “Poiché tutto ho
subito, tutto posso fare”. La guerra genera guerra, la violenza altra violenza,
l’odio altro odio. Sopraffazione e resistenza diventano la vite senza fine che
penetra le storie dei personaggi e li inchioda alla loro infelicità.
L’altra donna della storia è Margherita, dolce ragazzina dei
primi anni del novecento che, come tutte le adolescenti, crede che il mondo sia
senza steccati, che l’amore possa essere perdonato, che la vita sia incontro
con l’altro. Presto però deve accorgersi che non è così, che strade strette
vincolano il cammino, che ci sono posti di blocco e che uomini armati non lasciano
passare i sentimenti. L’amore diventa per loro intollerabile atto di ribellione,
da punire senza pietà quando tenta di superare i fili spinati che sono stati tesi.
L’amore di due giovani di censo diverso è perciò rigorosamente proibito, il suo
frutto avvelenato. Perciò Margherita è costretta ad abbandonare il bambino nato
da quella colpa che colpa non è, a fuggire dalla condanna, dalle occhiate
malevoli, dal chiacchiericcio crudele, per cercare in terre lontane il suo
riscatto. Ma in quella nuova vita, costruita al di là del mare, lei porterà per
sempre il vuoto di un’assenza, un buco nero che non le permette mai più di essere
la ragazza di prima.
In conclusione, un libro, scabro, asciutto, senza pietismi,
senza compiacimenti, con dentro la vita vera (quando lui mi colpiva, sentivo il sapore del sangue. Era pastoso e con
un gusto di una vecchia chiave…”), descritta con linguaggio moderno,
sorvegliato, duro e con qualche raro sprazzo di tenerezza. Una storia forte che
cattura e che si legge tutto di un fiato perché ha il ritmo e la padronanza
narrativa della buona letteratura.
“Le formiche non hanno le ali”, pur essendo libro d’esordio per
Silva Gentilini, è già romanzo sorprendentemente maturo che sviluppa tematiche
rilevanti, rifuggendo gli abbellimenti letterari. Una storia costruita sulla carne, che sa di vita vissuta, di verità, di confessione.
Si sta affacciando nel panorama letterario italiano una nuova
grande scrittrice? Lo si vedrà col
tempo. Per ora abbiamo motivi per sperarci, perché nel chiacchiericcio fatuo e
autoreferenziale di questi tempi, ne abbiamo davvero bisogno.
Renato Fiorito
Distrazioni” di Antonella Antonelli
Edizioni
Progetto Cultura
(Renato Fiorito)
Ecco cos’è questa raccolta di 13 racconti di Antonella Antonelli: un libro di ribellione, di solitudine, di contrasti, di sfide, di dolore, costruito a strati sovrapposti con dentro l’asprezza della vita, la violenza del potere, il pudore dei sentimenti, la tenerezza dei ricordi.

In quasi tutti i racconti il passato
si incunea nel presente e lo condiziona; il male ricevuto determina i comportamenti
attuali e impedisce ogni felicità. Il prezzo da pagare è una sofferenza sempre
rielaborata, un rimasticare continuo del dolore per cercare una più compiuta
consapevolezza.
Affiora in questo una sensibilità
femminile ma non femminista, che ambisce alla sincerità dei rapporti e che smonta
gli stereotipi pezzo a pezzo, lasciando il lettore spiazzato, disarcionato
dalle sue impettite certezze.
Così avviene nel racconto “Il Velo”, che apre la raccolta, dove
gli errori dei protagonisti, lui gigolò lei suora, sono il modo per
scandagliare in profondità l’animo umano e cercare, con finezza psicologica, la
parte rimossa del sé, che sola può aiutare a comprendere e perdonarsi.
In ciò Antonelli ha delle straordinarie
capacità di mimesi con cui riesce a penetrare in profondità l’animo dei suoi
personaggi. In “Un proiettile e un cuore
arrugginito” si racconta ad
esempio la vita di una prostituta, la sua fanciullezza violata, la vita segnata
da un odio profondo e da un'ansia di vendetta che spaventa per la
sua lucidità. Il risultato finale è il capovolgimento di una morale perbenista e
superficiale che finisce per imputare alle vittime le loro stesse sofferenze e
per assolvere chi le ha procurate.
Un altro racconto che mi è molto
piaciuto è quello de “Il bambino con il pallone”. Esso ha un folgorante incipit “Io
sono il bambino con il pallone sotto il braccio” con cui riesce subito a trasmettere
una suggestione da vecchia foto bianco e nero, dalla quale lentamente emergono
fatti e ricordi. Il pallone che il piccolo Leonardo porta orgogliosamente sotto
il braccio è metafora della vita: “Più
veniva preso a calci, più i ricordi si cancellavano e le cuciture si rompevano”,
e dura finché dura la sua innocenza.
Al centro del bellissimo brano c’è la
morte improvvisa del nonno che segna per il piccolo Leonardo il passaggio
repentino dalla fanciullezza all’età adulta, e c’è il conflitto con il padre che
sfocia in uno scontro drammatico e feroce, non alimentato dall’odio ma da una richiesta
inespressa d’amore che non ha trovato mai risposta. Dice infatti Leonardo: “Forse vuole abbracciarmi, mi scanso e
scappo via al buio piangendo e pregando che mi segua, che faccia un ultimo
tentativo. Come sempre ho bisogno di essere sicuro che siano sinceri con me, ma
lui non mi conosce, che ne sa? “
Come in altri racconti, è invece di
conforto l’universo affettuoso e protettivo dei nonni con cui viene recuperato
una sorta di “sapere” esistenziale, il valore affettivo e consolatorio di una
solidarietà intergenerazionale da cui sembrano esclusi padri e madri dalle figure
scialbe e distratte, emblematiche del fallimento educativo e affettivo della
generazione di mezzo.
Infine mi piace citare “Non sono ma esisto” nel quale un
barbone senza identità e documenti vive il proprio annichilimento con una sorta
di rassegnato compiacimento. Egli ha modi ruvidi e schivi e disdegna simpatia e
benevolenza. Con grande efficacia narrativa la scrittrice evoca l’opposizione
tra apparire e essere, tra dolore della vittima e ferocia dei carnefici e
certifica magistralmente il degrado cui può condurre un sentire cinico e
violento che nega valore ad una vita solo in ragione delle sue disgrazie: “Sono solo uno che da vivo conta quanto
conterebbe da morto”, riflette infatti il povero barbone.
Nel frattempo riflessi della
bellezza di Roma con le sue luci, “che sembrano scaldare il fiume da dentro,”
si mescolano alla indifferenza della città santa, che santa non è mai stata
poiché scivola sulla povertà e sul dolore senza vederlo.
Chiude il racconto una frase struggente
che ben riassume, a mio modo di vedere, l’atmosfera dell’intero libro: “Ecco cos’è la solitudine, sapere che
potresti avere qualcuno con cui dividere il cammino e invece farlo da sola quel
passo, e poi un altro e poi tutti gli altri, fino alla fine.”
“Distrazioni” è un libro stimolante
e intenso che andrebbe letto. Ci sono tanti volumi che ingombrano le librerie.
A volte, non sapendo bene cosa scegliere, si cede alle manipolazioni della
pubblicità, al fascino rassicurante del volto noto, e si trascurano per contro libri
di valore come questo che emozionano perché hanno dentro la sapienza
artigianale dello scrivere bene, ma non vengono segnalati per ragioni di
marketing. Questa recensione è un piccolo atto di riparazione a tutto questo.
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DANTE MAFFIA, Il poeta e la farfalla, Roma, Lepisma, 2014

Anche qui, come nel Poema totale della dissolvenza, mille affluenti vanno a formare il grande fiume di parole e immagini di cui è denso il libro, mescolando le loro acque fino a formare qualcosa di nuovo e di tumultuoso che dà risposta al nostro bisogno di essere accolti, accettati, riconosciuti nella unicità e nobiltà segreta del cuore.
Quello che colpisce non è tanto la bellezza dei singoli versi, che pure straripa, ma la magnificenza del quadro d’insieme perché, come in un bosco, non è il singolo albero a fermare l’attenzione, ma l’immensità del verde, le sue sfumature, la varietà delle mille vite che vi si nascondono.
Maffia, da grande poeta qual è, si muove in questa orgia di parole, similitudini, metafore inaspettate, di cedimenti e di carnalità, senza temere i luoghi comuni, né sfuggendo l’imperfezione, quasi a voler dire che se l’amore è imperfetto, se imperfetta e contraddittoria è la vita, perché i versi dovrebbero discostarsene? Quello che, invece, fortissimamente vuole è che tutto sia detto e nessuna emozione vada persa affinché al grande affresco della vita nessuna pennellata manchi. Così anche il lettore finisce per abbandonarsi a questo flusso di emozioni e si perde nel bosco che il poeta ha disegnato, attraversa i suoi sentieri, assapora l’esaltazione visionaria, acuta, tenera, feroce di una stagione d’amore disperata e felice, scolpita nell’unicità dell’attimo. : “Un sogno di millenni/ ci appartiene,/ vastità senza limiti,/ luna che esce ed entra dalle albe/ sempre avidamente rosse. Avvicinati, dammi la bocca, la mia anima è tua/ la lingua ha le ali.”
Così ciclicità e unicità, febbrile esaltazione carnale e tenerezza di abbandoni si susseguono ininterrotti, andando a formare il pane sapido della passione. L’amore è quello tra due amanti di due età lontane. Essi si incrociano, si sfiorano per un breve momento, formando qualcosa di vivo, di intenso. Nasce il rimpianto folle per quello che poteva essere e che invece non è stato: “ Oh se ti avessi conosciuta, ma tu stavi nascosta in una pancia di donna che ti voleva piccola, bella e obbediente, Eri di là da venire. E sei venuta poi, ma ormai concluso era l’assetto delle cose e il divenire un catalogo definito.”
Poi l’ora della fine avanza impietosa e si consuma velocemente il tempo della follia: “Troppi giorni separati, troppo chiusi nei misfatti d’un silenzio nero che ha aggrinzato le fioriture e disumanamente ha distolto la brace dal camino piegandolo alla cenere”. (pag. 417) E più avanti: “Intendiamoci, non ti do colpa di niente. Va sempre cosi, una ramaglia si mette di traverso e si ferma il motore.” Fino ad arrivare alla struggente, bellissima poesia finale: “Sarò sempre il viandante sventurato/ e berrò alla tua fonte/ sia per vivere/ e sia per morire. Sono stato dentro di te/ come il fulmine sta/ dentro le nuvole canterine./ Non le conosci? / Ecco allora in cammino con me/ sempre / senza voltarci indietro:/ gli orizzonti hanno mani e occhi,/ le tue mani sono orizzonti,/i tuoi occhi mi fanno vedere,/finalmente, /dove va la vita, / a cosa serve, /dove si trova l’infinita/ realtà del senso.”
Siamo dunque all’epilogo: storia di tutte le storie, amore di tutti gli amori che si ripetono all’infinito. Ci saranno certo altri amanti e altre parole, ma noi che abbiamo letto questa di storia ci sembra di aver trovato qui le parole, adatte al nostro dolore, che ci fanno riconciliare con i sogni, che a piene mani abbiamo sparso, e con le delusioni che ci hanno piegato ma non ucciso, e finanche con le lacrime che abbiamo tenuto segrete.
Grazie a Dante Maffia per questo suo confessarsi senza paure, senza falsi pudori, senza remore, per questo farsi pane per la nostra inappagata, eterna fame di tenerezza.
Renato Fiorito
Grazie a Dante Maffia, il suo farsi pane per noi, diventa lievito all'interno del nostro desiderio di leggere e poi scrivere dell'unico sentimento che sembra ingannare la morte, ma non lo scorrere inesorabile del tempo e dell'età, che pure nei suoi versi risorge malinconica e preziosa. Mi chiedo cosa possa spingere le farfalle a volare sempre lontane dall'amore, e l'unica risposta che so darmi è la plausibile paura di dover durare eternamente, loro che per natura vivono soltanto un giorno.
RispondiEliminaGrazie a Renato Fiorito che ha fatto del pane un pasto d'ambrosia.
Antonella Antonelli, tu che sei una magnifica poetessa, sai che si crea tra chi scrive poesia un circuito di tenerezza involontaria, una vicinanza che conforta e vince le singole solitudini. E' un bene grande che gli altri non possono godere e che ci ripaga del nostro sofferto confessarci, ogni giorno, per dare tregua al nostro dolore.
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