“Assolo
dell’ortensia” di Annamaria Curci
Macabor 2024
Nota di
Renato Fiorito
“Una terrazza
metafisica”, dice Silvano Trevisani nella sua prefazione a “Assolo dell’ortensia”,
l’ultima raccolta poetica di Anna Maria Curci (Macabor 2024), terrazza che mi riporta
a un’altra, concreta e viva nella mia memoria, affacciata su un giardino
d’ortensie azzurre che esplodevano ogni inizio estate nel cortile per festeggiare
la nuova stagione. Il portiere ne tagliava a volte qualcuna e la donava a mia
madre. Anche Anna Maria mi porta oggi questo dono floreale che per strade
misteriose mi riconduce agli antichi sapori di una giovinezza custodita nel
cuore, grazie a poesie che, partendo da quella ispirazione, suggeriscono un
viaggio misterico nel travaglio della vita, nella sua bellezza e nel suo dolore,
attraverso un verseggiare suggestivo e immaginifico intorno al segreto insondabile
del vivere.
Lieve e intensa,
discreta e sussurrata, come sempre è la poesia di Annamaria, la raccolta ha
l’armonia dei classici, l’icasticità degli ermetici, la levità del tanka e
dell’haiku. In essa, il più voluttuoso dei fiori fa da lussureggiante controcanto
a versi sobri, essenziali e inattesi, perfettamente ordinati dalla sua sapienza
letteraria.
Dietro la ricchezza
delle metafore raramente si rinvengono fatti concreti, essendo l’attenzione della
poetessa interamente concentrata sul valore delle emozioni, sui trasalimenti
dell’anima di fronte alla fatica e alla bellezza della vita. Metafore e allusioni
sono brevi, fulminanti, a volte spiazzanti, per lasciare al lettore, nel vuoto
aperto tra i versi, lo spazio per agganciarvi suoi ricordi e riflessioni.
Su questo terrazzo incantato,
inondato dal canto azzurro delle ortensie, peraltro mai nominate se non nel
titolo della prima poesia, planano speranze e delusioni mentre volano radenti i
sogni della vita. Ogni descrizione trova così giustificazione e rispondenza in
un moto dell’anima, attraverso indovinate analogie in cui esterno e interno continuamente
si confondono, per dire che la vita è parte armonica di un tutto dove, come in
Eraclito, ogni cosa scorre.
Come avviene per le
ortensie, resta infine sotteso, ma sempre taciuto, un messaggio subliminale, una
domanda di cambiamento nascosta tra le righe, senza la quale ogni poesia, anche
la più bella, diventa sterile, e l’aspirazione a un viaggio che possa mutare la
percezione delle cose, dando finalmente senso alla disarmonia che accompagna
nostro malgrado i nostri giorni.
Aspetta a lungo
l’occhio che la sorga
la scarpa scompagnata
Non sa ancora
Che un tocco distratto
Sfiorerà il laccio
o un sibilo improvviso
pungerà chi
Di lei si mette in cerca
Attende sola
senza braccia e antenne
Di tornare da ingombri a traccia-ombra.
(pag.23)
E in altra poesia:
“… a te che sei altrove e forse guardi
narro di morti
taciute e occultate
dell’ondata sommersa degli infermi
di prigionia spacciata come bene.”
(pag.32)
E infine:
Giacché l’amore è piaga ed è sutura,
rimbocca i lembi che pure separa.
Dietro le spalle sussurra tenace
Le piccole virtù lungo il sentiero.
(pag.33)
Dunque un giardino, ricco di luci,
colori, nostalgie e speranze, questo di Annamaria Curci, piccolo e immenso, rapido
da visitare ma che poi pretende ritorni e riletture per poterne estrarre gli
effluvi migliori.